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OCTOBER 28, 2015 - MARCH 26, 2016

28 OTTOBRE 2015 - 26 MARZO 2016

Milano, Corso Monforte 23
Pero, Via Vincenzo Monti 46

COMUNICATO STAMPA

| PRESS RELEASE

Galleria Stein, in collaboration with Archivio Luciano e Carla Fabro, is presenting an exhibition of the work of Luciano Fabro(1936-2007), in both the expansive spaces in Pero and the gallery’s historic venue on Corso Monforte. The exhibition conveys the salient stages in the career of one of the most important artists of the postwar period, an authentically innovative figure within the tradition of Italian sculpture.

Over the years Fabro availed himself of materials that had contrasting and distinctive qualities: bed linens and silk (evoking the lightness and rigor of classical art); iron, lead, marble and bronze (in many cases subverting their weight and solidity, with truly surprising inventions in their installation); glass, mirrors and crystal. Using his research to expand the materials’ expressive possibilities, Fabro reconsidered sculptural form, in an open dialectic, or in what one might call a play of resonances and mirrorings, between materials, meaning and context. An extreme conceptual tension, often carried to the limits of ironical nonchalance, is seen in every work, beginning with the titles, and acts to multiply the significance, without ever indulging in the probable or the relative or in the viewer’s subjective judgment. For Fabro, the fact that there are many viewpoints and that art is a space of attention within which a completely special game is played, never signifies giving in to the imponderable or to chance. One might say that Fabro replaced the installation practice typical of Arte Povera (of which he was a leading figure) with the regulative idea of habitat, namely a place in which the viewer and artist accompany each other in a new regime of visibility. This challenges the concept of a work of art that participates in a space that is no longer pictorial, but is, instead, concrete and real, where the experience of seeing is brought back to a refined simplicity. This rigorous idea of attentive and participatory seeing is the key to gaining access to Luciano Fabro’s experimental poetics.

In the series of works that were exhibited in his first solo exhibition, at the Vismara gallery in Milan in 1965 (an exhibition now recapitulated at the Corso Monforte gallery), there was already evidence of Fabro’s interest in apparently simple and banal phenomena, such as the way in which an object behaves in space. All the work from those early years in Milan, permeated with the influence of Manzoni and Fontana, focuses on the perception of the space in a relationship between external and internal reality, and on the idea of the work of art as a necessary tool for interpreting experience and for developing new levels of awareness.

The installation in the large rooms in Pero, in contrast, proposes a reinterpretation of some of the most significant episodes in the artist’s subsequent research. In the now famous series of works, from the Italie (Italies) to the Piedi (Feet), to the Attaccapanni (Clotheshangers), up to the marble pieces that examine Greek mythology, Luciano Fabro is explicit about his conceptual approach, overturning the commonly accepted symbolic function of known forms, the silhouettes of which, created in various materials, are positioned in the space in unusual and surprising ways. The intention is always to induce in the viewer a self-aware experience of the space, carried out with all the senses and without preconceptions. But he now develops an esthetic power and asserts an expressive modality that is more committed to the construction of new forms. In these works Fabro revives monumental dimensions, a sumptuous concept and an artisanal way of working that brings to mind the greatest Italian tradition, resorting to precious materials such as marble, glass and silk, and above all to color and light. He does so without ever renouncing ironic nuance or a tone of insatiable and unpredictable experimentation. It is as if his entire path, up to his mature work, were working toward what is perhaps his most important and least exhibited sculpture, Lo Spirato (The Deceased, 1968-73), where the body of the artist is the fluctuating trace of a marble veil, sculpting an absence that is not a void, but a turn in meaning that turns and turns again, in the search for mortal perfection.

La Galleria Stein in collaborazione con l'Archivio Luciano e Carla Fabro presenta negli ampi spazi a Pero e nella storica sede di Corso Monforte una mostra dedicata a Luciano Fabro (1936-2007) per raccontare le tappe salienti della carriera di uno tra i maggiori artisti del secondo dopoguerra, autentico innovatore della tradizione della scultura italiana.

Nel corso del tempo Fabro si è servito di materiali contrastanti per caratteristiche peculiari: lenzuola e sete (ad evocare la leggerezza ed il rigore dell’arte classica); ferro, piombo, marmo e bronzo (sovvertendone in molti casi peso e consistenza, con invenzioni installative davvero sorprendenti), e vetro, specchio e cristallo. Espandendone con la sua ricerca le possibilità espressive, Luciano Fabro è stato l'artista che ha ripensato la forma scultura in una dialettica aperta o, se si vuole, in un gioco di risonanze e di specchi tra materiali, senso e contesti. L'estrema tensione concettuale, spesso al limite di una ironica noncuranza, sempre rintracciabile in ogni sua opera a partire dai titoli, è un moltiplicatore di significati, ma non è mai abbandono al probabile e al relativo o al giudizio soggettivo del fruitore. Che ci siano molti punti vista e che l'arte sia uno spazio d'attenzione entro cui si gioca una partita del tutto speciale non significa mai per Fabro cedimento all'imponderabile e al caso. Si può dire che alla pratica dell'installazione tipica dell'Arte Povera di cui fu tra i protagonisti, Fabro abbia sostituito l'idea regolativa dell'habitat, che è quella di un luogo in cui lo spettatore e l'artista si accompagnano in un nuovo regime della visibilità. Si tratta di mettere alla prova la concezione di un'opera d'arte partecipe di uno spazio non più pittorico, ma concreto e reale, in cui l'esperienza del vedere sia ricondotta a una raffinata semplicità. Questa idea rigorosa di un vedere attento e partecipe è la chiave d'accesso alla poetica sperimentale di Luciano Fabro.

Nella serie di opere esposte nella sua prima personale alla galleria Vismara di Milano nel 1965 (mostra ora riproposta nella sede di Corso Monforte) è già evidente l'interesse di Fabro per fenomeni apparentemente semplici e banali, come il modo di comportarsi di un oggetto nello spazio. Tutto il lavoro s’incentra in quei primi anni milanesi, fecondati dall'influenza di Manzoni e Fontana, sulla percezione dell’ambiente nel rapporto tra realtà esterna e interna, sull’idea di opera d’arte quale strumento necessario per leggere l’esperienza e per sviluppare nuovi piani di conoscenza.

Nelle grandi sale a Pero viene invece proposta una rilettura di alcuni tra gli episodi più significativi della ricerca successiva. Nei cicli di opere ormai famose, dalle Italie, ai Piedi, agli Attaccapanni fino ai marmi che guardano alla mitologia greca, Luciano Fabro rende esplicito il suo dispositivo concettuale, ribaltando la funzione simbolica comunemente accettata di forme note, la silhouette delle quali, realizzata in vari materiali, è collocata nello spazio in modi inconsueti e spiazzanti. L’intento è sempre quello di indurre nel fruitore una consapevole esperienza dello spazio, compiuta con tutti i sensi e senza pregiudizi. Ma ora si sviluppa anche una potenza estetica e s'impone una modalità espressiva più dedita alla costruzione di forme nuove. In questi lavori Fabro recupera dimensioni monumentali, una concezione sontuosa e un lavoro artigianale memore della migliore tradizione italiana, ricorrendo a materiali preziosi quali marmo, vetro e seta e, soprattutto, al colore e alla luce. Senza mai rinunciare alla sfumatura ironica e al piglio di sperimentatore incontentabile e imprevedibile. Come se tutto il suo percorso fino alla maturità realizzasse lo scopo della scultura forse più importante e meno esposta, Lo Spirato (1968-73), dove il corpo dell’artista è la traccia fluttuante di un velo di marmo, a scolpire l'assenza che non è un vuoto, ma una piega di senso che si piega e si ripiega nella ricerca di una perfezione mortale.

INVITO | INVITATION CARD

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