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28 FEBBRAIO - 18 MAGGIO 2024

FEBRUARY 28 - MAY 18 2024

MILANO, CORSO MONFORTE 23

COMUNICATO STAMPA

| PRESS RELEASE

INVITO | INVITATION CARD

Il giro del mondo in otto opere

Testo di Sergio Risaliti

Dopo l’ultima personale del 2018, Domenico Bianchi torna ad esporre con la Galleria Christian Stein nella sede di corso Monforte e lo fa presentando una serie di otto opere realizzate negli ultimi due anni. Non più lavori in cera o su base lignea. Adesso sono lastre di marmo, di diaspro, onice e malachite realizzate a commesso con l’aggiunta di altri materiali lapidei rari e preziosi: lapis, lumachella, sodalite, un campionario di pietre dure che varia per brillantezza e sfumatura delle venature, durezza e porosità, densità, grana, colore e opacità. L’utilizzo di pietre dure ha alle spalle una storia millenaria, sono state utilizzate in scultura, perfino per la ritrattistica, così come in architettura, per decorazioni di pavimenti e pareti in ambienti pubblici e privati sontuosi, e nelle arti minori, per raffinati vasellami e nella glittica. L’opus sectile, di cui da notizie già Plinio il Vecchio nei suoi trattati -lavorazione artistica meglio conosciuta come commesso marmoreo- è una delle tecniche più raffinate e costose di decorazione marmorea o in pietre dure, vuoi per la rarità dei materiali utilizzati, che per la complicata tecnica di produzione; la pietra va sezionata in fogli sottili e sagomati per arrivare a creare effetti cromatici e composizioni di elementi figurativi e naturalistici sempre più raffinati, come fiori e animali, ma anche scene di caccia, assieme a dettagli simbolici, perfino astratti, cercando un gioco di contrapposizione tra figure riconoscibili e parti informi, fino d arrivare a una vera e propria "pittura in pietra” come l’ebbe a definire Giorgio Vasari nel Cinquecento. Grande successo ebbe infatti l’arte del commesso fiorentino nel rinascimento, quando Ferdinando de’ Medici dette il via all’Opificio delle Pietre Dure nel 1588. La produzione di questi dipinti marmorei si sviluppò successivamente anche a Praga e in Francia, per rinascere nell’ottocento al tempo dell’eclettismo inglese nell’ambito di Arts and Crafts.

Ognuna di queste otto opere ci trasporta in una regione diversa del mondo, in cave aperte sui fianchi di alte montagne, in profonde caverne scavate da tempi antichi. Qui le nazionalità non sono rappresentate da bandiere e alfabeti diversi uno dall’altro, ma dalla varietà e qualità delle pietre. Adesso siamo in Sicilia, poi ci spostiamo in Brasile, da lì ce ne andiamo in Iran, e poi in Francia, Namibia, e nel Sud Africa, per trasferirsi in Turchia e Afghanistan, e concludere infine il viaggio in Toscana, sulle Apuane, dove si estrae il marmo più puro, quello utilizzato fin dai tempi di Roma antica e poi da Michelangelo. I colori vanno dal nero del marmo del Belgio, al giallo o rosso del diaspro, al bianco dell’onice, alla malachite estratta in Zaire. Ogni lastra potrebbe essere accompagnata da un diverso paesaggio, da differenti modi di parlare e di vestire, da diseguali credi religiosi, governi, storie e tradizioni. Ma tutto questo alle pietre non interessa. Sono vissute milioni di anni fa e di quelle stagioni conservano le tracce nelle venature, nella composizione fisica, che in certi casi racchiude strati e strati di piccole conchiglie cristallizzate. A questo viaggio nelle viscere della terra, si aggiunge un viaggio proiettivo nell’infinito del micro e del macro della terra e del cosmo. Bianchi aggiunge ai valori formali delle pietre dure, al gioco cromatico, alle striature e sfumature, alla lucentezza e opacità dei materiali, la sua personale iconografia, un linguaggio di segni e forme circolari che oscillano tra l’immaginario simbolico e il vocabolario di forme astratte, tipico del modernismo. Le opere sono otto perché questo è un numero perfetto, che nella scienza sacra e nell’alchimia corrisponde a un considerevole insieme di significati. Otto è infatti il simbolo dell’infinito, racchiude nel suo geroglifico l’immenso, è la spirale della genesi, riproduce il segreto della creazione. È questo un segno che ha caratterizzato da sempre le opere di Bianchi, e che ha vissuto nascosto tra le griglie dei suoi impianti geometrici, gravidi di una cellula germinale in perenne espansione dal centro verso l’esterno, da una profondità all’altra. Come nei lavori in cera, ritroviamo una fantasia d’immagini trascendentali al centro della composizione e una spazialità strutturata da griglie e celle che ne contengono e sostengono l’espandersi e il frantumarsi. Ma il fascino di questi lavori nasce anche dalla trasformazione della materia informe in un’oggetto dotato di rara bellezza artistica. In una appagante altalena tra godimento sensibile e proiezione mentale, lo sguardo, attratto al centro della lastra, coglie nel geroglifico la proiezione verso l’infinito, mentre indugia su dettagli di raffinata elaborazione, eseguiti con la precisione di un intagliatore di gemme preziose. Si ha l’impressione, giustificata, che queste opere appartengano a un mondo antichissimo, distante come quello del Caso primigenio, e a un futuro lontano anni luce, a una civiltà ancora a venire. Quanto accade al centro della composizione non è forse prova di un linguaggio visivo che ci proviene da molto lontano, ispirato da archetipi e reminiscenze primordiali? O piuttosto, la prefigurazione di qualche formula segreta che potrebbe spiegarci il senso della vita nell’universo? Così, l’approccio a questi nuovi lavori, richiede da parte nostra uno doppio sforzo di contemplazione e d’immaginazione, la capacità di leggere nel mondo degli archetipi formali, quelli geometrici, e nei simboli che si legano alla dimensione ctonia della terra e a quella iperurania del cosmo, dove le riduzioni materialistiche non hanno senso perché ogni elemento, collegato a mondi inferiori e superiori, possiede specifiche proprietà e virtù particolari. Ad esempio la malachite agisce sul chakra del cuore, favorisce calma e pace interiore, alleggerisce lo stress e aiuta a trovare fiducia in se stessi. Il diaspro rosso, conosciuto anche come pietra guerriera, aiuta ad avere coraggio, a livello fisico può curare disturbi cardiaci e stimola il sistema immunitario. E’ una pietra governata da Mercurio e Marte e agisce sul primo e secondo chakra. Hildegard von Bingen nel suo trattato di Physica la descrive così: "Il diaspro cresce quando il sole, dopo l’ora nona, volge ormai al tramonto. Viene riscaldato dall’ardore solare, tuttavia è più d’aria che di acqua o di fuoco". La sodalite, pietra vulcanica a base di sodio, infonde armonia e stimola il desiderio di verità e conoscenza, è indicata altresì nei disturbi di gola, e come il lapislazzuli, essendo nata dalla compressione di miriadi di conchiglie, viene associata alla notte stellata e alla profondità del mare. Viene da dire che bellezza, guardare una pietra e sentori già solo per questo parte dell’universo, essere finito. L’onice bianco è ideale per risolvere problemi di udito e può essere utilizzato per curare ferite infette. Questo ci offre la terra che fu sede dei Giganti, e gli antichi ne erano pienamente consapevoli. Ammirando questi lavori abbiamo l’obbligo di fare tesoro di queste conoscenze. Qui coesistono il tempo primordiale di Madre natura, quello mitologico del Caos e della Teogonia, assieme al tempo breve della storia dell’arte, quello dell’abilità manifatturiera dell’uomo e quello dell’immaginazione creativa dell’artista. Ogni opera è costruita grazie a un lento, abile, intervento di mani esperte che sanno tagliare, limare, lucidare le pietre, inserendo, con l’abilità dell’orefice e del cesellatore, marmo su marmo, pietra su pietra, incastonando nella lastra principale piccoli segmenti di altro materiale lapideo, costruendo rapporti formali e simbolici che travalicano dal geometrico, al musicale, dal floreale al cosmologico, dall’astratto all’organico, esaltando luce riflessa e lucentezza propria degli elementi lapidei.

La luce rappresenta per Bianchi l’elemento primario. Il colore è sempre luce. Tanto nei lavori di cera che in questi ‘petrosi’ la lucentezza, o luminosità, assicura alla superficie una straordinaria profondità, una immanenza che risulta complementare al linguaggio astratto del disegno. Lucentezza che è della pietra e del suo colore, così come nelle superfici metalliche brillanti, realizzate con palladio e argento, e in quelle morbide e setose create con la cera. Ma la luce non è solo questa dei colori, dei metalli e della cera. E’ una speciale illuminazione, un riverbero di conoscenza archetipica, che viene istillata in noi dalla contemplazione dei segni e dei globuli inscritti al centro delle sue composizioni. L’immagine nelle opere è definita da un nucleo centrale che rimanda a infinite ipotesi di sviluppo spaziale, variazioni iconografiche astratte che tendono all’infinito, mai uguali e sovrapponibili, ma sempre simili. Queste immagini si autogenerano al centro di uno spazio di rappresentazione ad andamento verticale e orizzontale, strutturato per griglie e celle. Il cerchio, e le sue metamorfosi geometriche, è la forma dominante, un “mezzo” per immaginare l’infinito espandersi del segno a partire dal nucleo originale. Solitamente questo nucleo circolare e sferico non è mai una forma chiusa, prigioniero di un inizio e di una fine, ma tende a procedere, a snodarsi e dipanarsi su dimensioni molteplici, creando l’impressione di movimenti complessi, anche in senso temporale, con velocità differenziate e andamenti centripeti e centrifughi a un tempo.

Fino ad oggi Bianchi aveva utilizzato materiali nobili come l’argento e il palladio, in abbinamento con materie morbide e naturali come la cera, o familiari come il legno. Ha realizzato anche straordinari acquerelli, che per certi versi sembrano precedere le opere di oggi. Con gli acquerelli eseguiti su carta pregiata, era riuscito a fare quello che la natura ha realizzato in milioni di anni, comprimendo enormi quantità di fossili, raffreddando e cristallizzando enormi quantità di magma incandescente. Gli acquerelli creavano paesaggi di fondo marino, giochi di striature e venature come di pietre preziose, costellazioni e galassie di inaudita bellezza e lontananza. Costantemente al centro quella sorta di mandala a ipnotizzare lo sguardo, condurlo in un viaggio tra il piccolo e il grande della realtà fisica e metafisica. In questo caso Bianchi è riuscito a rendere morbido, sensuoso e luminoso il marmo come fosse cera, lavorando su due registri linguistici e formali diversi ma complementari: uno è lo spazialità del quadro che viene normalmente costruita attraverso la griglia geometrica, l’altro è la dimensione simbolica della figura, la sfera generata dall’evoluzione di un geroglifico spiraliforme. Immagini che collegano il piano terrestre, cioè la griglia, lo spazio costruito, quindi la prospettiva modernista, ad un piano più universale e cosmologico, infinito e complesso, quale quello evocato dalla spirale e dalla sfera che nei quadri di Domenico Bianchi sta imperativamente al centro o si propaga in più elementi sferici occupando gran parte dello spazio di rappresentazione.

Il percorso artistico di Bianchi è lineare, nella sua radicalità è perfino ripetitivo, come lo sono stati nel modernismo le imprese di Mondrian e di Rothko, di Fontana e di Burri. Un arte che cresce e si accresce per la somma di ripetizioni e differenze, da una all’altra opera. Nei suoi lavori si riscontra un segno circolare ricorrente, che è soggetto del quadro, un nucleo centrale, procreatore di una forma assoluta che rimanda a infinite ipotesi di vita e di spazio, di tempo e dimensioni. Una forma disegnata e costruita che resta fedele a un modello principale fondativo, generatore di infinite declinazioni e variazioni. A partire da una primigenia iconicità impermutabile, muta costantemente l'immagine generata dalla linea che dal centro si distende e si svolge all’interno di strutture geometriche regolari che formano lo spazio lasciando libero campo a modulazioni di campi curvilinei e fluttuanti.

Il disegno, infine, assume un carattere vagamente simbolico, si manifesta come cifra di una geometria organica, puro elemento decorativo, fantasia cosmologica dallo svolgimento curvilineo. Più precisamente, è indicizzazione di una forza, di un’azione procreatrice che nasce e si propaga nella materia e dall’immagine. La cera, in particolare, è luogo di gestazione, di trasmutazione, di solidificazione e di risonanza; un luogo fatto di fisicità compatta e di luminosità immanente. Materia luminosa e sensuosa da cui nasce il quadro, sia come struttura sia come immagine. Linguaggio e forma, un tutto organico che genera e veicola emozioni e informazioni sempre in termini analogici e simbolici, mai figurativi o narrativi. Nel quadro riconosciamo geometrie e forme, densità e trasparenze che collegano, per quanto è possibile in pittura, il microcosmo col macrocosmo, il finito con l’infinito, la terra con l’universo, l’unità individuale con la matrice archetipica di origine divina. Una solida profondità in espansione la cui immensità è trattenuta al centro con disegni concentrici, contenuta nei limiti fluidi di un universo in espansione. Con piani regolari spesse volte sovrapposti a piani curvi, a campi fluidi. La luce è come incarnata nella materia e al tempo stesso funziona da alimentatore e amplificatore dell’immagine generata attraverso il vitale auto-generarsi della linea, che misura e dirige il tempo e lo spazio.

Il quadro per Bianchi è quindi cosmo nascente in continua espansione. E pure immaginazione prenatale. Agli occhi dello spettatore l’opera appare come se fosse sempre esistita e contemporaneamente è in divenire, come sembra dimostrare il disegno che respira e inspira evolvendosi al suo interno. Inizio e fine coincidono, seppure l’ipotesi di un divenire in atto sia rimarcata dalla luce, dall’organicità della materia, dallo sviluppo della linea in una figura non finita, dallo sviluppo dei piani e della sfera che può continuare ripetendosi differenziandosi all’infinito.

A world tour in eight works

a text by Sergio Risaliti

After his most recent solo exhibition in 2018 Domenico Bianchi returns to exhibit at the Corso Monforte location of Galleria Christian Stein, presenting a series of eight works created in the past two years. No longer works in wax or wood, we now behold slabs of marble, jasper, onyx, and malachite with commesso compositions in other rare and precious stones: lapis lazuli, lumachelle, sodalite. Bianchi uses a selection of hardstones that vary in brightness and nuances of the veining, hardness, porosity, density, grain, color, and opacity. The hardstone or pietra dura technique dates back over a thousand years, used in sculpture, architecture, floor and wall decorations in sumptuous public and private buildings, and also in portraiture. In the minor arts we find it in elegant pottery and engraved works. Opus sectile, described by Pliny the Elder in his treatises—an artistic technique closely related to marble commesso—is one of the most refined and costly marble or hardstone decoration techniques, partly for the rarity of the materials used and partly for the complexity of its creation. The stones are sectioned into thin sheets and then cut into shapes that are combined to create chromatic effects and compositions of figurative and naturalistic elements, such as flowers, animals, and entire hunting scenes, as well as symbolic, perhaps abstract, details. The interplay of recognizable figures and a formless background creates what Giorgio Vasari called “painting in stone” in the sixteenth century. Florentine commesso (also known as Florentine mosaic) flourished during the Renaissance, when Ferdinando de’ Medici inaugurated the Opificio delle Pietre Dure in 1588. The production of these “paintings in marble” then developed in Prague and in France, re-emerging in the nineteenth century in the eclecticism of the British Arts and Crafts movement.

 

Each of Bianchi’s eight works transports us to a different part of the world: from open quarries on high mountainsides to caves dug in ancient times. Here nationalities are not represented by flags or alphabets but by the variety and type of stones. We begin in Sicily, travel to Brazil and from there to Iran, then France, Namibia, and South Africa, before moving on to Turkey and Afghanistan and concluding our tour in Tuscany’s Apuan Alps, where the purest marble is quarried, the marble used in ancient Rome and later by Michelangelo. The colors range from the black of Belgian marble to the yellows and reds of jasper, the white of onyx marble, and the green of malachite extracted in Zaire. Each slab might be associated with a different landscape, different ways of speaking and dressing, differing religious beliefs, governments, histories, and traditions. But the stones do not care about that. They have been here for millions of years and bear the traces of the ages in their veins and physical composition, which in some cases may contain layers and layers of tiny crystalized seashells.

This voyage into the bowels of the earth is complemented by a journey projecting us into the micro- and macro-infinitudes of the earth and the cosmos. To the formal values of the hardstones, to the chromatic interplay, to the striations and nuances, to the luster or flatness of the materials, Bianchi adds his personal iconography, an idiom of circular forms and marks that oscillate between symbolic imagery and a lexicon of abstract forms, typical of modernism. The number of the works is eight because eight is a perfect number rich in meaning in both sacred science and alchemy. On its side it is the symbol of infinity, it encloses the immense in its hieroglyphic, it is the helix of genesis, it reproduces the secret of Creation. It is a sign that has always characterized the works of Bianchi, one that has inhabited his gravid geometric grids, bearing a germinal cell constantly expanding from the center outwards, from one depth to another. As in his works in wax, we find a fantasy of transcendental images at the center of the composition and an outward space structured in grids and cells that contain and sustain expansion and disintegration. But the allure of these works also lies in the transformation of formless material into an object endowed with rare artistic beauty. In a pleasant alternation between sensory engagement and mental projection, our gaze is attracted to the center of the slab, contemplating the outward-boundless projection of the hieroglyphic while lingering on elegantly developed details executed with the precision of a gem engraver. We have the quite understandable impression that these works belong to an ancient world, as remote as the primigenial birth, and to a future that is eons away, a civilization yet to come. Is not what occurs at the center of the composition a manifestation of a visual idiom of far distant provenance, inspired by primordial archetypes and reminiscences? Or rather, is it the prefiguration of some secret formula that could explain to us the direction of life in the universe? And so our approach to these new works demands that we make the double effort of contemplation and imagination. It requires the ability to interpret the world of formal—here geometrical—archetypes and the symbols of the earth’s chthonic and the cosmos’s hyperuranionic dimensions, where reduction to the material makes no sense because every element, linked to under- and over-worlds, holds specific properties and virtues. For example, malachite affects the heart chakra, favors inner calm and peace, relieves stress, and boosts our self-confidence. Red jasper, also known as the warrior stone, instills courage. On the physical level it can treat cardiac disorders and stimulate the immune system. It is a stone governed by Hermes and Ares and acts on the first and second chakras. In her treatise Physica, Hildegard of Bingen described it as follows: “Jasper (jaspis) develops when the sun is beginning to set, after the ninth hour of the day, and it is warmed by the fire of the sun. It is more from air than from water or fire.”[1] Sodalite, a volcanic rock named for its sodium content, instills harmony and stimulates the desire for truth and knowledge. For its deep blue color, like lapis lazuli, it is associated with the night sky and the deep sea. There are also traditions that assign it a curative value for throat problems. White onyx is effective against hearing problems and can also be used to treat infected wounds. It is offered to us by an earth that was once the land of the Gigantes, and the ancients knew this well. As we look at these works, we are obliged to learn and cherish this lore. Coexisting in them is the primordial age of Mother Nature, the mythological time of chaos and theogony, the human ability to craft artifacts, the brief history of art, and the creative imagination of the artist. Each work is constructed through the slow, artful work of expert hands adept at cutting, filing, and polishing stones. Summoning the skills of the goldsmith and the engraver, they set marble in marble, stone in stone, inlaying small fragments of hardstone into the stone of the main slab, constructing formal and symbolic relations that range from geometrical to musical, from floral to cosmological, from abstract to organic, exalting the luster and highlights proper to these mineral elements. 

For Bianchi, light is the primary element. Color too is light. Both in the wax works and in his latest lapidarian creations, luster and clarity give the surface an extraordinary depth, an immanence that is complementary to the abstract idiom of the design. Luster is a property of the stone and its color, and it also abides in the bright metal surfaces crafted with palladium and silver, and in the soft, silky ones made from wax. But light is not just the light of colors, metals, and wax. It is a special illumination, a reverberation of archetypical knowledge that is instilled in us via the contemplation of the signs and globules inscribed into the center of Bianchi’s compositions. The image here consists of a central core suggesting infinite possibilities of spatial development, abstract iconographic variations that tend toward infinity, never identical or interchangeable yet always similar. These images self-generate in the center of a representational space of vertical and horizontal orientation, structured as grids and cells. The circle with its geometrical metamorphoses is the dominant form, a vehicle for imagining the infinite expansion of visual signs out from an original nucleus. This circular and spherical nucleus is rarely a closed form, prisoner of a beginning and an end, but tends to proceed, to loosen and unwind into multiple dimensions, creating the impression of complex motion, also through time, at varying velocities and exhibiting both centrifugal and centripetal effects.

Prior to these eight works, Bianchi had used precious materials such as silver and palladium in combination with soft, natural materials such as wax, or familiar materials like wood. He has also painted extraordinary watercolors, which in certain ways look like precursors to today’s works. Applying watercolors to fine paper, he succeeded in doing what nature had accomplished in millions of years, compressing enormous quantities of fossils and cooling and crystalizing enormous quantities of incandescent magma. The watercolors represent seafloor scapes, interplays of striations and veins as in precious stones, constellations and galaxies of untold beauty and distance. They always center on a sort of mandala, hypnotizing the eye and leading it on a journey through the large and small of physical and metaphysical reality. In this case, Bianchi has succeeded in rendering marble as soft, sensuous, and luminous as wax, working in two different but complementary linguistic and formal registers: the framed space of the work, normally structured as a geometrical grid; and the symbolic dimension of the figure, the sphere generated by the evolution of a helical hieroglyphic. These images link the terrestrial plane—i.e., the grid, the constructed space, thus the modernist perspective—to a more universal and cosmological level, infinite and complex, such as that evoked by the spiral and by the sphere, which in Domenico Bianchi’s paintings is imperatively at the center or propagated in a number of spherical elements, occupying much of the representational space.  

Bianchi’s artistic path is linear in its radicality and even repetitive, as were the modernist undertakings of Mondrian, Rothko, Fontana, and Burri. His is an art that grows and expands by the sum of repetitions and differences, from one work to the next. The subject of his works is the recurrent circular element, a central nucleus, procreator of an absolute form that evokes endless possibilities of life and space, time and dimensions. A designed and constructed form that remains true to a principal foundational model, generator of infinite conjugations and variations. Starting from a non-permutable primigenial iconicity, it constantly alters the image generated by a line starting from the center and extending into regular geometrical structures that inform space, leaving free range to modulations of curvilinear and fluctuating fields. 

The design, lastly, takes on a vaguely symbolic character. It is manifested as a salient trait of an organic geometry, a purely decorative element, a cosmological fantasia with curvilinear development. To be more precise, it is the indexation of a force, of a procreative action that emerges and propagates in the material and from the image. Wax, in particular, is a place of gestation, of transmutation, of solidification and resonance, a locus of compact physicality and indwelling light. It is a luminous and sensuous material giving birth to the work, both as a framework and as an image. Language and form, an organic whole that generates and conveys emotions and information always in analogue and symbolic terms, never figurative or narrative. In the frame of the work we recognize geometries and forms, densities and transparencies that connect—insofar as such is possible—the microcosm to the macrocosm, the finite with the infinite, the earth to the universe, the individual unit with the archetypical matrix of divine origin, an expanding solid depth whose immensity is held at the center within concentric designs, contained within the fluid limits of an expanding universe, with regular planes often superimposed on curved planes and on fluid fields. The light seems embodied in the material and at the same time functions as a power source and amplifier of the image produced via the vital self-generation of the line, which measures and directs time and space.

For Bianchi, the work is thus a nascent cosmos in continual expansion, and also prenatal imagination. In the eyes of the observer, the work looks as if it had always existed and at the same time something that is becoming, as we seem to see in the design, which breathes in and out, developing within itself. Beginning and end coincide, while the hypothesis of an ongoing process of becoming persists in the light, the organicity of the material, the extension of the line in a non-finite figure, and in the development of the planes and sphere that can continue repeating and differentiating ad infinitum.

 

[1] Hildegard Von Bingen, Physica, translated by Priscilla Throop, Inner Traditions/Bear, September 1998, p. 146.

MOSTRE PASSATE | PAST EXHIBITIONS

JASON MARTIN. REMINISCENCE

25 MAGGIO - 30 SETTEMBRE 2023

Milano, Corso Monforte 23

JANNIS KOUNELLIS

12 OTTOBRE 2022 - 21 GENNAIO 2023

Milano, Corso Monforte 23

MARCO BAGNOLI

10 FEBBRAIO - 7 MAGGIO 2022

Milano, Corso Monforte 23

STEFANO ARIENTI

30 GIUGNO - 24 SETTEMBRE 2021

Milano, Corso Monforte 23

GIULIO PAOLINI. QUI DOVE SONO

30 SETTEMBRE - 15 GENNAIO 2021

Milano, Corso Monforte 23

MIMMO PALADINO

23 FEBBRAIO - 13 MAGGIO 2023

Milano, Corso Monforte 23

MARIO MERZ

19 MAGGIO - 16 SETTEMBRE 2022

Milano, Corso Monforte 23

MICHELANGELO PISTOLETTO

6 OTTOBRE 2021 - 8 GENNAIO 2022

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FAUSTO MELOTTI. ZOAGLI

11 MAGGIO - 25 GIUGNO 2021

Milano, Corso Monforte 23

ALIGHIERO BOETTI

18 FEBBRAIO - 4 APRILE 2020

Milano, Corso Monforte 23

MIMMO PALADINO

30 OTTOBRE 2019 - 18 GENNAIO 2020

Milano, Corso Monforte 23

PAOLO CANEVARI

16 MAGGIO - 12 OTTOBRE 2019

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ELISABETTA DI MAGGIO

25 OTTOBRE 2018 - 6 APRILE 2019

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MIMMO ROTELLA

10 MAGGIO - 13 OTTOBRE 2018

Milano, Corso Monforte 23
Pero, Via Vincenzo Monti 46

REMO SALVADORI

9 NOVEMBRE 2017 - 14 APRILE 2018

Pero, Via Vincenzo Monti 46

GIULIO PAOLINI. FINE

10 NOVEMBRE 2016 - 29 APRILE 2017

Milano, Corso Monforte 23
Pero, Via Vincenzo Monti 46

MIMMO PALADINO

12 MAGGIO - 18 OTTOBRE 2016

Milano, Corso Monforte 23
Pero, Via Vincenzo Monti 46

JANNIS KOUNELLIS

28 APRILE - 26 SETTEMBRE 2015

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Pero, Via Vincenzo Monti 46

STEFANO ARIENTI

16 MAGGIO - 12 OTTOBRE 2019

Milano, Corso Monforte 23

PETER WÜTHRICH

16 MAGGIO - 12 OTTOBRE 2019

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DOMENICO BIANCHI

25 OTTOBRE 2018 - 6 APRILE 2019

Pero, Via Vincenzo Monti 46

MARCO BAGNOLI

9 NOVEMBRE 2017 - 14 APRILE 2018

Milano, Corso Monforte 23
Pero, Via Vincenzo Monti 46

MICHELANGELO PISTOLETTO

25 MAGGIO 2017 - 21 OTTOBRE 2017

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JEFF ELROD

14 LUGLIO 2016 - 15 OTTOBRE 2016

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LUCIANO FABRO

28 OTTOBRE 2015 - 26 MARZO 2016

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ALIGHIERO BOETTI

21 OTTOBRE 2014 - 28 FEBBRAIO 2015

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